CARCERE PER I MAGISTRATI
di Luigi Bramato
L’algoritmo di Google mi propone questa notizia: “Dopo aver vinto il concorso, i magistrati dovrebbero trascorrere in carcere almeno 15 giorni fra i comuni detenuti e leggere la letteratura dedicata al ruolo della Giustizia”. Non credo ai miei occhi. Accendo il pc, avvio la ricerca. Scorro i risultati e tra questi apro quello del "Sole 24 Ore". Eccolo, l’ho trovato. Tutto vero, nessuna fake news. L’articolo risale allo scorso 14 maggio. Peccato: non proprio freschissimo. Però ancora attuale. Leggo con attenzione: è una proposta di legge che l’Associazione Amici di Leonardo Sciascia ha presentato al Parlamento italiano. In attesa di essere discussa e, nella migliore (quanto remota) delle ipotesi, approvata. A proposito di Sciascia: dove avevo letto quel suo vecchio articolo sui magistrati? Ma sì, eccolo: è del dicembre 1986 e si intitola “La dolorosa necessità del giudicare”. Dice a un certo punto lo scrittore: “Il potere di giudicare i propri simili non può e non deve essere vissuto come potere. Per quanto possa apparire paradossale, la scelta della professione di giudicare dovrebbe avere radice nella repugnanza a giudicare, nel precetto di non giudicare; dovrebbe cioè consistere nell’accedere al giudicare come a una dolorosa necessità, nell’assumere il giudicare come un continuo sacrificarsi all’inquietudine, al dubbio”. C’è altro da aggiungere?
Consiglio di lettura: Cavallaro-Conti (a cura di), Diritto, verità, giustizia. Omaggio a Leonardo Sciascia, Cacucci, Bari 2021.